Oggi ho il piacere di intervistare l’autore toscano Emanuele Martinuzzi.
IntervistAutore, come sapete, è una rubrica che dà la possibilità agli autori di raccontarsi scrivendo. Alcuni dei miei ospiti li ho “scoperti” attraverso la lettura, una delle mie grandi passioni. Ecco, proprio leggendo le poesie di Emanuele ho scoperto un mondo poetico diverso dal mio, non sempre così immediato, ma proprio per questa ragione, speciale nei contenuti. Emanuele ha pubblicato di recente un nuovo lavoro “Storie Incompiute” (PortoSeguro Editore), che finirò di leggere nei prossimi giorni. Naturalmente vi farò sapere le mie impressioni, quindi stay tuned! Nel frattempo, godetevi questa bella chiacchierata in cui spero di essere riuscita ad aprire una piccola finestra nella sfera più personale di Emanuele. Io ci ho provato a metterlo sotto torchio… 😉 Enjoy it!
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- Ciao Emanuele. Benvenuto su Verba Spinosa. Parto subito con una super curiosità: chi è Emanuele lontano da una pagina bianca?
Escludendo le banalità con cui potrei cercare di definirmi non so rispondere a questa domanda. Scrivere poesie nel mio piccolo è un modo personale di ricercare e conoscere me stesso, al di là delle convenzioni, giudizi o pregiudizi che potrei avere su di me. Perfino una persona comune, abitudinaria, semplice, ironica, etc. come potrei essere definito da chi mi conosce nella vita di tutti i giorni custodisce come tutti, dentro di sé, un universo da esplorare: la propria anima.
- Ho letto sulla tua biografia che hai studiato filosofia. Colgo l’occasione per farti una domanda che porti ad un confronto, seppure marginale, tra l’amore della sapienza (significato etimologico di filosofia) e la poesia. In particolare, Platone asseriva convinto: “I poeti mentono molto”, mentre Leopardi, pur essendo anch’egli vicino a questo modo di pensare, sosteneva che non potesse esserci vita senza la poesia. A quale dei due concetti ti senti più vicino e per quale ragione?
L’ho studiata a Firenze, tanti anni fa oramai. Per me l’amore della filosofia è sempre andato assieme a quello della Poesia. Scrivere poesie, se è un po’ conoscersi come dicevo, allora è in qualche modo una forma di introspezione, filosofica diciamo. Chi sa di non sapere, come diceva Socrate, sa anche che quello che sa o crede di sapere, non è la verità. Il dubbio lo porta avanti nella vita e nella scrittura. Chi scrive poesie aspira a un assoluto, a delle certezze, che però non possiede. Il giudizio di Platone che citi è un giudizio politico sul peso delle arti mimetiche e degli artisti nella sua città ideale, governata dai filosofi. In altri testi i poeti e il loro uscire da sé stessi, in preda al divino o alle muse, viene interpretato diversamente e in un certo senso rivalutato. L’irrazionalità della Poesia ci parla intimamente della vita, della nostra esistenza, tormentata ma sempre protesa al di là della siepe Leopardiana, verso un infinito a cui aspirare. Inoltre, per citare Pascal il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce e chi scrive poesie cerca di far parlare il cuore, di dare voce alle sue contraddizioni e fragilità inascoltate.
- Scrivendo poesie, come è cambiata nel tempo la tua visione della vita?
Più scrivo e più ricerco. Scrivere è continuare il cammino, perdersi anche. Se avessi una visione della vita univoca e non contraddittoria, non sentirei l’urgenza di scrivere, quando questo spontaneamente accade. Ci si lascia andare alle nostre piccole convinzioni o illusioni, affidandosi al foglio bianco, come fosse un territorio inesplorato da conoscere, sperimentare o perlustrare. Scrivere è un tormento, un vagabondare senza meta, solo a volte una scoperta.
- C’è una poesia di uno scrittore del passato che ami particolarmente?
Eterno
Tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile nulla.
(Giuseppe Ungaretti)
- Leggendo i tuoi componimenti non ho potuto fare a meno di notare che ogni singola parola è stata scelta con estrema cura. Quali sono le tue fonti d’ispirazione?
Non sempre ogni parola è scelta con estrema cura. Negli ultimi lavori la mia scrittura è diventata sempre meno meditata o strutturata rispetto alle mie passate raccolte. Il cosiddetto labor limae si è quasi ridotto all’essenziale, se non addirittura annullato. La parola è diventata un qualcosa di gettato, inciso, conquistato senza la mediazione della riflessione. Scrivere poesie davvero si traduce in un uscire fuori di sé. Intuizione, emozione e poco altro.
- Parliamo di “Storie Incompiute”, il tuo nuovo lavoro pubblicato con PortoSeguro Editore. Partendo dal presupposto che non è per nulla semplice trovare un titolo ad hoc per un libro di poesie, e che “Storie incompiute” m’incuriosisce parecchio, non posso non chiederti da che cosa sia scaturita la scelta di legare il sostantivo “storie” all’aggettivo “incompiute”.
In realtà questo titolo è stato scelto dall’editore per motivi di linea editoriale. Il titolo originale doveva essere Costellazioni Incompiute. Anche se il senso di entrambi i titoli è il medesimo. Questa nuova raccolta è un viaggio personale nell’ermetismo. Ogni parola, ogni poesia è una storia caduta da non si sa dove. Tutta la raccolta non è altro che un elogio dell’incompiuto, della fragilità e dell’imperfezione. Storie o costellazioni, il senso fondamentale è rimandare all’incompiutezza delle cose, delle emozioni, delle parole che si fanno poesia nell’illusione di compiersi.
- Il tuo linguaggio letterario crea sia la giusta atmosfera, sia una sinergia particolare tra poeta e lettore. Silenzi, Addii, Solitudine e Tempo sono soltanto alcune delle parole e alcuni dei sentimenti chiave che ho incontrato leggendo parte di “Storie incompiute”. Quale di questi quattro temi ti sta più a cuore e perché?
Tutte le tematiche citate mi stanno a cuore e come non potrebbero, ci toccano così nel profondo. Inoltre, hanno contraddistinto da sempre lo scrivere poesie in generale. Si scrive poesie, noi esseri finiti nel tempo che ci è concesso, dal nostro silenzio senza fine, per dire addio ai sentimenti che passano, per abbracciare le emozioni a volte ritrovate, per vestirsi con le parole in cui possiamo scaldarci.
- Spesso la poesia è vista come un’arte troppo intimista, individuale, segreta, distante dalla quotidianità, riservata a pochi per i suoi significati intrinsechi. C’è anche chi sostiene che la poesia sia un’arte solitaria in cui è difficile entrare. Cosa pensi delle due scuole di pensiero «Scrivo per me stesso», «Scrivo per essere letto»? E soprattutto, tu scrivi per te o per gli altri?
Ho incominciato a scrivere poesie quando avevo dodici anni e per anni quello che scrivevo rimaneva in un cassetto. Non avrei mai pensato di pubblicare un giorno, di avere il coraggio, di mettermi a nudo di fronte al giudizio di sconosciuti che ci leggono e ci possono anche mistificare o non comprendere. Poi è accaduto che fossi anche apprezzato, ma questa è un’altra storia. Forse ho deciso di proporre i miei lavori poetici agli editori per conoscere altre persone con la stessa passione, per non sentirmi isolato con la sola compagnia della scrittura, per cercare di costruire qualcosa e così fare cultura, per confrontarmi con i lettori, imparando che in qualche modo ognuno leggendoti riscrive ciò che pensavi avesse un solo significato, o anche per solleticare quel narcisismo che un po’ tutti abbiamo, soprattutto chi osa scrivere. Tuttavia, proprio dopo questa ultima raccolta, ho rincominciato a tenere un diario poetico solo per me stesso. Senza nessuna aspettativa di pubblicare, essere letto o ascoltato pubblicamente. Io, la scrittura. Punto. Credo sia un modo per non perdere certe radici autentiche e un certo senso, per così dire originario, legato al mio scrivere poesie.
- Dillo con tre aggettivi.
La poesia non è… scomparsa, comprensibile, compiuta.
- La poesia può essere uno specchio emotivo per chi la scrive o l’essenza di un’anima rimasta nascosta a lungo che germoglia dentro noi stessi. Se dovessi descriverti attraverso un’immagine bucolica o un animale, quale sarebbe?
L’animale senza ombra di dubbio una lumaca.
Mi piacciono molto. Vagano in lungo e in largo portandosi sempre dietro la propria casa e scrutando il mondo con le loro piccole antenne, lentamente, senza la fretta di giungere alla meta, perché forse già ci sono. Come chi scrive poesie che si porta sempre dietro il linguaggio e con le parole tenta di afferrare il mondo e scoprire dove andare, forse dov’è già, lasciando scie collose sul foglio bianco della vita.
Grazie per la bella intervista Emanuele, alla prossima!